Adesso noi

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Siamo in periodo di ferie e tutti abbiamo bisogno di staccare la spina per ricaricare le pile ma c’è una categoria per antonomasia che in ferie non va mai.

Si tratta dei genitori, in particolare quelli dei ragazzi con disabilità che proprio in questi ultimi mesi si sono ritrovati spesso insieme allo scopo di dare vita ad una nuova associazione chiamata “Adesso Noi” che cercherà di fare fronte al complicato e complesso tema del ‘Dopo di Noi’.

Pensare al “Dopo di Noi” significa aiutare le persone con disabilità a decidere come vivere, dove vivere e con chi vivere quando non avranno più accanto i loro genitori o familiari ed è importante farlo quando i genitori e i familiari delle persone con disabilità stanno ancora bene e possono aiutarle a cominciare a diventare indipendenti.

Pensare al Dopo di Noi vuol dire anche pensare a realizzare strutture e servizi adatti alle persone con disabilità, seguendo sempre i loro desideri e la loro volontà.

A tale proposito e mentre mi sottopongo ad uno dei suoi rigeneranti massaggi fisioterapici, faccio due chiacchere con Silvia Spegne visto che si è presa carico di questa associazione e sta traghettando questo progetto insieme ad altri genitori, come lei, di ragazzi con disabilità.

Per quale scopo è nata l’associazione ‘ADESSO NOI’?

Principalmente come rappresentanza, per richiedere ad un qualsiasi Ente Pubblico o ad Aziende Sanitarie private e non, un contributo per attivare i servizi per i nostri ragazzi, come ad esempio dei laboratori di autonomia al fine di arrivare gradualmente ad una autonomia di vita vera e propria.

Con la fondazione Carovana di Ancona stiamo pensando a degli incontri di sensibilizzazione per i genitori, perché le idee sono tante ma poi in concreto i genitori che dovrebbero aderire a volte sono paralizzati dalla paura, perché non se la sentono di lasciare andare il proprio figlio, hanno paura che possa soffrire o semplicemente non credono ce la possa fare a vivere da solo.

Partiamo proprio con questa campagna di sensibilizzazione perché noi genitori spesso facciamo difficoltà a capire l’importanza e l’urgenza di questo passo.

E invece, secondo me, se a questi ragazzi si dà l’opportunità e le armi giuste per poter iniziare, loro ce la possono fare.

Quindi è corretto dire che lo scopo del progetto è creare una convivenza tra i ragazzi?

In realtà la convivenza è l’obiettivo finale, vorremmo iniziare ad allenarli ad una vita indipendente partendo da dei laboratori settimanali per poi arrivare a trascorrere mezze giornate con degli educatori, oppure una serata in compagnia, o un week end e così via.

Piano piano cercare di raggiungere cioè un’autonomia sempre più ampia come lasso di tempo, me lo immagino anche non completamente distaccato dalla famiglia, ovvero qualche giorno in autonomia e poi il fine settimana in famiglia, o il contrario.

Secondo me è una cosa importante sia per la famiglia che condivide così il carico della quotidianità e anche per i ragazzi che si sentono realizzati e più grandi.

Quali sono i prossimi passi della neo-associazione?

Ora c’è da organizzare la parte pratica, trovare delle aziende, dei privati che possano investire in un progetto del genere, iniziando magari con un progetto di un anno e poi tarare il tiro strada facendo, in base alle esigenze dei ragazzi.

Il problema fondamentale è che a livello regionale ci sono sovvenzioni o aiuti finanziari soltanto per quei progetti che riguardano i soggetti con disabilità al 100% ma per quel che riguarda i ragazzi che hanno meno del 100% c’è poco o niente.

Vista proprio la diversità tra i ragazzi e che alcuni hanno già un’occupazione grazie a Frolla, manca solo la possibilità di fargli provare una vita insieme.

Il fatto che le disabilità siano diverse, secondo me, può aiutare la convivenza perché semplicemente chi è più abile a fare una cosa aiuta l’altro che magari fa più fatica e viceversa.

Del resto, spesso sono proprio loro che ci insegnano ad aiutare e questo è il cuore del nostro progetto.

Come è nata l’idea di questa associazione?

Personalmente ho sempre cercato di rendere Tommaso il più autonomo possibile, l’ho sempre trattato come un ragazzo che poteva dare il 100%, poi se ovviamente riusciva a fare solo il 20, andava bene lo stesso.

Secondo me, se non lo inserisco in un progetto del genere, Tommy arriverà a 20/25 anni e sarà troppo tardi, potrebbe addirittura regredire restando a casa. E anche se capisco che a volte il pensiero è quello di dire ‘non ce la farà mai’, in realtà messo in un contesto giusto ce la può fare tranquillamente.

Confrontandomi poi con gli altri genitori è emersa l’esigenza non tanto di levarceli di casa (detto brutalmente), o per essere liberi quando vogliamo uscire ma l’assillo principale di tutti noi genitori è che vorremmo essere tranquilli nel caso ci dovesse succedere qualcosa, saperli insomma in un contesto che possa accoglierli e assicurare loro un futuro dignitoso.

Vorrei quindi farlo non solo per mio figlio, ma per tutti quelli che si trovano ancora a stare in famiglia, dove magari i genitori hanno già problemi di loro, magari non vengono capiti completamente, o hanno semplicemente e naturalmente bisogno della loro indipendenza, insomma hanno desiderio di sentirsi come gli altri ragazzi.

Credo di poter affermare con assoluta sicurezza che già hanno molte limitazioni, come la patente, il sesso, ecc. sembra che tutto (o almeno tanto) sia un problema, che possano almeno vivere da soli!

Proviamoci!

Cosa ti senti di dire su questo progetto?

Guardando i ragazzi inseriti da Frolla, sono evidenti i cambiamenti e la crescita che hanno fatto in così poco tempo, si sono uniti, hanno creato un bel gruppo, se qualcuno si sente in difficoltà c’è qualcun altro che presta aiuto.

Questo per dire che se ci sono gli stimoli giusti e le persone che gli vogliono bene al fianco, i nostri figli possono fare passi da gigante, addirittura impensabili.

Ti porto l’esempio di Tommaso che ha una disabilità al 100% ma che a casa fa tutto da solo, la sua igiene personale è completamente gestita da lui, se ha fame sa come organizzarsi, ecc.; è tutto sicuramente migliorabile ma è già qualcosa.

Eppure, l’esigenza di farlo sentire sempre più autonomo io l’avverto.

Quando Tommy aveva 2 anni e mezzo mi è stato detto che era da chiudere in istituto perché tanto non avrebbe guadagnato niente e invece non mi sono mai fermata e mai mi fermerò, perché la prova è che se uno ci prova con questi ragazzi, i risultati arrivano.

Se uno ci crede tutto è possibile, del resto anche per Frolla è stato così no?

Mi piace lasciarci con questo messaggio di tenacia e speranza. A volte non serve fare i chilometri per ricaricare le pile, basta solo farsi fare un massaggio e ascoltare.

Sembra sempre impossibile, finché non viene fatto.

(Nelson Mandela)

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