Amandoti
Quando vediamo una persona in carrozzina o con un altro tipo di handicap, la prima cosa che notiamo è proprio la sua disabilità. Purtroppo, molti non sono in grado di fare il passo successivo, considerare che quella persona con disabilità è prima di tutto una persona, con il suo carattere, le sue esigenze, le sue passioni e, ovviamente, il suo desiderio di amare.
Si tende sempre a pensare che sono degli eterni bambini, delle fragili creature da preservare, che vivono quasi in una realtà parallela in cui non esistono voglie e impulsi, insomma come fossero dei puttini asessuati. Beh, niente di più sbagliato.
Quello che serve è solo un po’ di sensibilità da parte di chi ascolta e di ironia e capacità di mettersi in gioco da parte di chi si racconta, come nel caso di due nostri carissimi amici, Mirco e Federica, che da più di 4 anni vivono una profonda storia d’amore e sono qui a raccontarcela.
Ciao ragazzi, grazie innanzitutto per la vostra disponibilità e per sciogliere il ghiaccio vi lascio presentare ed introdurre da soli.
M.: Sono Miro Pugnaloni, ho 36 anni e fino al 2013 ero in piedi e conducevo una vita normale, poi ho avuto un incidente stradale che mi ha portato una lesione del midollo spinale a livello cervicale per cui da lì ho dovuto fare i conti con la vita in carrozzina. È cambiato tutto, sia fisicamente che psicologicamente e anche la sfera affettiva e della sessualità ne ha risentito. L’impostazione di prima è stata completamente stravolta.
All’epoca dell’incidente ero fidanzato, ma si sono acuite delle frizioni per cui è finito tutto prima che uscissi dall’ospedale.
Prima di conoscere Federica ho avuto degli approcci col mondo femminile ma non particolarmente esaltanti, nel senso che non hanno portato a chissà quali relazioni, probabilmente perché ero molto più preso da me stesso che dal partner. Ero focalizzato a riprendere in mano la mia vita, è un percorso che tutto sommato sto facendo anche adesso. Sto cercando infatti di ricostruirmi una carriera, un nuovo percorso lavorativo più consono a questa condizione. Ho dovuto cambiare completamente ambito; precedentemente ero un cuoco, un’attività quindi prettamente fisica che a seguito della mia tetraplegia non ho potuto più affrontare, per inadeguatezza e inacessibilità delle strutture e per ritmi incalzanti e gli alti livelli di stress. Ho deciso così di approcciarmi ad un altro percorso che mi ha portato a concentrarmi sullo studio, conseguendo la laurea in Economia e Commercio, per tentare di ricrearmi un’altra possibilità e opportunità lavorativa.
La relazione con l’altro sesso è stata molta difficoltosa, in quanto gli schemi precedenti erano saltati e questo mi ha portato a fare anche un lavoro di introspezione per rivedere il Mirco di prima, ma purtroppo inizialmente non è stato semplice e questi modelli da normodotato mi hanno condizionato, anche nella relazione con Federica.
Di solito ci si aspetta dalla figura maschile di una coppia che sia la spalla per una donna, la forza su cui far leva nelle difficoltà quotidiane, la sicurezza, il senso di protezione, ed invece io mi sento l’anello debole della coppia, quello più fragile, più bisognoso di aiuto e assistenza perché in tante cose non sono autonomo.
Sto lavorando per migliorare non tanto il lato fisico, quanto l’approccio mentale e sulla condizione relazionale di vita di coppia che è cambiata e che conseguentemente deve sovvertire alcune dinamiche, pur rimanendo concettualmente sempre io, Mirco.
F.: Mi chiamo Federica, ho 41 anni e sono nata con una MAV (malformazione arterovenosa midollare) a livello lombare che poi si è evoluta in un aneurisma midollare. Quando avevo 7 mesi mi hanno dovuto operare d’urgenza perché rischiavo la morte e durante l’intervento l’aneurisma si è rotto e andando a comprimere le arterie è stata manomessa la parte muscolare e nervosa, degli arti inferiori.
Nel corso degli anni ho dovuto fare diverse operazioni chirurgiche, l’ultima risale a quando avevo 23 anni, ho dovuto portare per molto tempo i tutori (che non sopportavo più) ma grazie all’ultimo intervento sono riuscita a toglierli definitivamente.
Ho sempre avuto un rapporto abbastanza complicato con la mia disabilità, solo di recente sono riuscita un po’ a farci i conti. Ho sofferto molto per il mio corpo, mi ha creato difficoltà rapportarmi col mio fisico, tutt’ora, nonostante il mio approccio sia migliorato, non mi sono liberata da paranoie, complessi che incidono molto sia nel rapporto con me stessa che con gli altri e, quindi, anche in quello di coppia.
La disabilità ha pesato molto sulla mia evoluzione psicologica, l’ho vissuta come una sorta di peso del quale, fondamentalmente, non mi sono mai riuscita a sganciare.
Diciamo che in questo non sono stata aiutata molto dal contesto familiare in cui sono cresciuta perché nella mia famiglia non si poteva neanche nominare la parola ‘disabilità’.
Dal canto mio, invece, ho sempre cercato il contatto con le persone con disabilità. La svolta è stata nel 2016 quando, non saprei fondamentalmente dirti perché, ma ho iniziato a parlare di me con gli amici che mi stavano attorno, come di una persona con disabilità, cosa che non avevo mai fatto prima.
Iniziare a utilizzare proprio questo termine in relazione a me è stato un momento importante, mi ha fatto capire che appartengo ad una condizione che è comune a molte persone, che devo riconoscere e di cui non mi devo vergognare.
È anche una condizione per la quale, in qualche maniera, per quelle che sono le mie possibilità, mi devo battere, per i nostri diritti che non vengono considerati meritevoli dello stesso rispetto, apprezzamento di tutti gli altri e quindi ho iniziato anche lì a darmi da fare, da un punto di vista più attivo. Anche semplicemente nel parlarne con gli altri, con le persone che mi stavano intorno.
La disabilità mi ha condizionato molto anche nella mia vita sentimentale, in un primo tempo perché avevo proprio paura a relazionarmi con l’altro sesso, non tanto per i miei problemi di deambulazione e difficoltà motorie, quanto per la paura del rifiuto da un punto di vista fisico.
La prima relazione importante l’ho avuta a 27 anni ed è durata ben 8 anni. È stata la prima storia dove mi sono completamente messa in gioco perché mi sono sentita accolta e accettata, tant’è che con lui ho avuto anche la mia prima esperienza sessuale.
Mi ha aiutato tanto anche in una migliore accettazione fisica di me stessa, mi ha fatto sentire molto voluta, desiderata e anche bella.
Tanto che quando ci siamo lasciati, perché poi sono subentrate delle cose che ci hanno fatto capire che non potevamo portare più avanti la nostra storia e che il sentimento era finito, io sono comunque vissuta di rendita per un certo periodo.
Credo infatti che le persone che ti stanno accanto, aiutano molto a farti percepire te stessa in maniera diversa, a rassicurarti, ad ammorbidire certe tue paure. Fa la differenza avere una persona che ha questa sensibilità e riesce a mostrartela senza timori.
Ecco, i miei sentimenti, anche quello per Mirco, sono sempre stati tanto condizionati dal mio aspetto fisico.
Come vi siete conosciuti e da quanto state insieme?
F.: Noi stiamo insieme da 4 anni e mezzo. Ci siamo conosciuti nell’estate del 2016 ad una festa di un nostro amico, anche lui in carrozzina, al Castello della Rancia di Tolentino.
M.: è stato un incontro casuale. Però poi la relazione non è decollata subito, anzi il tutto è sbocciato successivamente, dopo diverse chattate su Messenger.
C’è stata poi un’altra occasione per vedersi, sempre organizzata da questo ragazzo di Tolentino, e poi una cena al ristorante cinese di Civitanova che fu galeotta. Io ancora non avevo preso la patente e mi aveva accompagnato un ragazzo che mi dava una mano per qualche ora a settimana. Dovette anche fare il palo perché ci fu il primo bacio in macchina nel parcheggio del ristorante cinese. Lui aveva compreso la situazione e ci ha lasciati in intimità. Pensare che una cosa del genere accada a persone over 30, fa strano. A quest’età saresti potuto uscire da un matrimonio, da una seconda storia finita male e invece noi, come due adolescenti, stavamo flirtando in una macchina, che non era neanche la mia. (NdR: ridiamo insieme)
F.: Io lo volevo proprio conoscere, lo volevo frequentare, a seguito delle nostre conversazioni virtuali, per capire se ci fossero i presupposti per iniziare la storia nel vero senso della parola e non mi ha mai preoccupato particolarmente che entrambi fossimo disabili.
Ero consapevole che avessimo una disabilità evidente ma non ha rappresentato un ostacolo, anzi ero desiderosa di conoscerlo e speravo che potesse nascere qualcosa tra di noi, anche se questo comportava adattarsi ad alcune circostanze, come questa del bacio, ma a me andava bene.
Quali sono state le reazioni dei vostri amici quando vi siete messi insieme? Le vostre famiglie hanno accolto positivamente la vostra relazione?
F.: le mie amiche più di una volta mi hanno detto senza mezzi termini: “sai quello che stai facendo? pensaci bene! Ve la sentite? Non sarà facile il vostro percorso, lo sai?”
È come se cercassero di capire se effettivamente ero consapevole di stare con un uomo tetraplegico nonostante anch’io fossi disabile.
Papà non era proprio d’accordo, per lo stesso tipo di paure delle mie amiche, a volte usava espressioni forti del tipo “ti rovinerai la vita!” – “sei una incosciente!” Insomma, non ha mai visto di buon grado questa relazione, ma questo non mi ha mai condizionato.
M: la mia famiglia invece ha accolto Federica al 100%, è diventata una di casa mentre gli amici hanno fatto anche a me lo stesso tipo di osservazioni che hanno fatto le amiche di Fede.
Quando andavate in giro (ahimè in passato, quando per tutti era possibile) quali erano le reazioni di chi incontravate?
M.: Sicuramente abbiamo fatto caso a sguardi strani quando entravamo nei locali, abbiamo notato che veniamo squadrati dall’alto in basso.
F.: Più che altro penso che, essendo entrambi disabili, l’effetto è quello un po’ di spiazzare, cioè risultiamo strani come coppia. Se io fossi stata normodotata probabilmente le persone mi sarebbero venute a dire “ma quanto sei brava! Che coraggio che hai! Quanto sei forte! Ma come fai?!” e invece l’impatto è sicuramente di sorpresa, di destabilizzazione ma mai nessuno ci è venuto a dire niente.
M.: Probabilmente si saranno detti tra loro “ah beh si sono trovati, si sono accoppiati bene ‘sti due, tanto con chi poteva finire, un disabile con una disabile!” (NdR: ridiamo nuovamente insieme)
Nella vostra progettualità, che programmi futuri ci sono? Avete pensato di andare a convivere o di sposarvi?
F.: Assolutamente sì, stiamo ragionando sulla convivenza, soprattutto sull’aspetto pratico. È la parte più dolorosa. Ad esempio, adesso dopo la morte di mio padre, Mirco è venuto a vedere casa mia per valutare se era fattibile trasferirsi qui, ma purtroppo l’appartamento è inaccessibile, tra le scale e l’ascensore che è troppo piccolo e non permette l’ingresso della sua carrozzina.
M.: quasi tutti i weekend lei viene a casa mia, in quanto per me è più accessibile e più comoda a livello pratico e conviviamo sotto il tetto familiare, anche se capiamo che è sempre una convivenza a metà.
Riuscireste ad essere completamente autonomi?
F.: Abbiamo molto ragionato su questo tema e siamo giunti alla conclusione più ovvia, più di buon senso, cioè che dovremmo aver bisogno di qualcuno che ci aiuti. Già ora io che abito da sola ho l’aiuto di una signora per la spesa e le pulizie e di questa persona sento il bisogno perché mi rendo conto che da sola non riesco a fare tutto.
Quindi, andando a vivere insieme, avremmo bisogno di una figura che ci aiuti magari per alcune ore a settimana, che ci possa supportare nella gestione della casa e poi eventualmente aiutare lui laddove non riesco io.
M.: vedi Elisa, noi siamo sempre alla caccia di ausili, soluzioni per facilitare la nostra autonomia però nonostante la tecnologia che aiuta tantissimo (ed è un bene e una cosa in cui credo tantissimo) ci saranno sempre delle cose per cui non ce la faremo.
Una banalità che rende però l’idea, se si fulmina una lampadina in un lampadario in alto, come facciamo? Lei fa difficoltà a salire su una scala.
In compenso abbiamo fatto diverse vacanze insieme, piccole gite come quella ad Abano Terme in una struttura termale consigliata dal portale ‘Turismo Accessibile’ dove c’era personale adeguato e formato per aiutarci negli spostamenti.
Come si riesce a fare il percorso che avete fatto voi nell’accettare la disabilità?
F.: Non credo che la disabilità si possa accettare. Per me è possibile farci i conti, conviverci nella maniera che sia il più sana, positiva e costruttiva possibile, però non credo che sia possibile accettarla.
Io ci sono praticamente nata e non sono mai stata normodotata ma, nonostante questo, non ho mai una sola volta smesso di pensare a quanto avrei voluto una vita da persona normodotata: a quanto mi sarebbe piaciuto essere padrona del mio corpo, poterlo muovere come voglio, sentire che non ho limiti di alcun genere, potermi, ad esempio, permettere le scarpe col tacco, sembra una grande cazzata ma io ho fatto tanti pianti per non potermi mettere le scarpe col tacco o le gonne che non amo mettere per via delle mie gambe storte.
No, non ci credo che sia possibile accettare la disabilità. Il desiderio di non nascere disabile lo coltiverò sempre nel fondo del mio cuore e, se dovessi rinascere, la disabilità non la vorrei.
Fortunatamente ora le cose stanno migliorando e avanzando, ma la società ti rimanda ancora tanti messaggi di fatica a vedere le persone con disabilità come delle persone verso le quali non sia necessario mostrare pietismo, trattarle a volte quasi in maniera infantile, persone che sono pienamente capaci di scegliere la propria vita, ciò che vogliono e ciò che non vogliono, intraprendere i propri percorsi con tutta la dignità di questo mondo e soprattutto penso alla difficoltà di accettare il loro corpo.
Se tu pensi a tutti gli stereotipi femminili che ci vengono propinati quotidianamente, il corpo conforme, che è quello di cui ci bombarda la società, è quello di un certo tipo e se tu non ti conformi a quel corpo sei vittima di giudizio, di critica, sempre!
M.: è un pensiero che condivido anch’io, ne abbiamo parlato insieme svariate volte. Siamo contro questi positivisti della disabilità. Caratterialmente sono molto realista, per cui se domani mi dessero un solo desiderio da esprimere, beh non avrei dubbi!
Avete modelli a cui vi ispirate come coppia?
F.: No sinceramente no, diciamo che seguo con molto piacere diverse attiviste come Sofia Righetti, che svolge un eccellente lavoro, si sta battendo tanto per le barriere architettoniche e ultimamente soprattutto per quello che riguarda la body positive, l’abilismo interiorizzato e l’inspiration porn. Mi piace il taglio che dà e come scrive perché il messaggio arriva, ecco diciamo che il suo carattere battagliero è motivo di ispirazione per me.
Così come seguo Iacopo Melio, Marina Cuollo, Max Ulivieri e tanti altri attivisti.
M.: anch’io seguo tutti quelli che sono stati citati da Fede ma ho la mia visione del mondo, per cui prendo qualcosa di buono da ciascuno, così come c’è qualcosa che non condivido in tutti. Tanto di cappello comunque a queste persone che sono degli ottimi comunicatori. Questi disability blogger, al pari dei food blogger, dei fashion blogger, stanno muovendo un sacco l’opinione pubblica, hanno un vasto pubblico e per cui non sono prettamente settorializzati.
Però ti ripeto, nel mio modo di vedere le cose, non ho un vero e proprio modello a cui mi ispiro.
Vi sentite un esempio per altre coppie?
F.: io non mi sento un modello per nessuno, neanche per me stessa figurati. Non ho questa ambizione, vivo la mia storia con Mirco per quello che sento e per quello che mi viene.
M.: A me piacerebbe fare delle attività in questo senso, lo abbiamo in parte fatto con Fede in passato, con delle piccole testimonianze. Poi però ci siamo allontanati perché erano dei contesti un po’ chiusi, tra la solita cerchia di persone. Non mi piace assolutamente questo, anzi sposo il concetto che c’è ad esempio dietro Frolla, cioè una contaminazione tra vari mondi, tra varie disabilità, professionalità, tra l’azienda che si muove col marketing, con la finanza agevolata e la cooperativa che fa i conti con la realtà sociale.
Per cui mi piacerebbe essere più attivo, mai dire mai.
La sessualità delle persone con disabilità è un tema ancora per molti versi un tabù. Aiutateci ad abbatterlo. Come lo affrontate voi?
F.: Il suo corpo non mi ha mai fatto paura. Non ho mai avuto il timore di toccarlo, di baciarlo, di farci l’amore.
Posso dire di avere scoperto la mia sessualità con Mirco, nel senso che, è vero che ho avuto questo lungo rapporto di 8 anni con cui ho avuto la mia prima esperienza sessuale, ma le sfumature del piacere, del godimento fisico, al di là del mero atto della penetrazione, le ho scoperte con Mirco.
Ed è stato un lavoro, perché non è stato immediato. Oggi, dopo 4 anni e mezzo, possiamo dire di vivere una sessualità proprio bella, appagante, ricca, divertente e libera.
Ne abbiamo parlato tanto, ci siamo molto confrontati, siamo entrambi due persone mentalmente molto aperte in questo e ci siamo proprio sperimentati con le posizioni, con le tecniche e abbiamo trovato un modo nostro personale di viverla, in maniera davvero appagante.
M.: siamo stati anche piuttosto moderati nel parlare, però poi quando ti confronti più intimamente con gli altri, questi argomenti saltano fuori sempre, quindi più che l’influencer o il blogger, sono le modalità divulgative di cui ti parlavo prima che valuterei positivamente nel realizzarle in prima persona, perché bisogna cercare di far aprire le menti sulle situazioni reali.
Ed è una cosa che serve fare nelle unità spinali, nei consultori, negli ospedali perché manca. La gente su questi temi non sa a chi rivolgersi o se ne vergogna, per cui bisognerebbe dare delle risposte adeguate alle diverse situazioni. Nel mio caso potrei fare un consulente alla pari per chi ha una situazione simile alla mia, non mi permetterei mai di consigliare, ad esempio, per una persona con una disabilità mentale o sensoriale.
Soprattutto perché esistono posizioni e tecniche alternative che si possono adoperare per godere a pieno del piacere del sesso.
Questi aspetti riguardano anche tutti quei soggetti che non stanno in carrozzina e non hanno i nostri problemi proprio perché molte relazioni vanno in crisi per motivi inerenti alla sessualità.
Siamo una coppia come tante altre, nonostante le problematiche legate alla disabilità, per cui ci capita di litigare per gli stessi problemi delle coppie cosiddette normali.
F.: I corpi delle persone disabili sono validissimi, tanto quanto quelli delle persone normodotate, validi sotto ogni punto di vista perché possono fare davvero tanto: fare sport, essere sexy, essere desiderabili. Solo che per fare arrivare questo messaggio, oltre che parlarne tanto, c’è proprio bisogno di mostrare questi corpi, di farli vedere, non solo attraverso lo sport, ma magari attraverso la nudità.
Wow! Non ho altre parole se non anticiparvi che seguiranno altri appuntamenti con Mirco e Federica per la serie “SEX and DISABILITY”.
Peace and love a tutti.
Dove c’è amore c’è vita. (Mahatma Gandhi)