My life
“I veri esempi sono le persone che si trovano a dover affrontare le difficoltà che la vita di tanto in tanto impone e che vanno avanti comunque a testa alta, nell’anonimato” in sintesi questo per me è Mirco Pugnaloni.
Un ragazzo unico, un professionista tenace, un amico presente che si racconta in una intervista preziosa ed imperdibile.
Ciao Mirco, da che età ti trovi a vivere su una sedia a rotelle?
La mia disabilità motoria è sopraggiunta in maniera fulminea e accidentale il 24 aprile 2013, all’età di 28 anni a causa di un incidente stradale, nel quale ho riportato una lesione del midollo spinale all’altezza delle vertebre cervicali. Nello specifico, si tratta di una tetraplegia che oltre a paralizzare gli arti inferiori, ha compromesso significativamente anche gli arti superiori, in particolare la mobilità delle mani.
Questo evento inatteso ha stravolto la mia vita e mi ha posto nella condizione di dover affrontare un doppio trauma: uno fisico e l’altro psicologico. Il primo legato alla mia nuova mobilità e all’immediata ricerca di nuove tecniche e adattamenti per imparare a vivere in carrozzina e far fronte alle esigenze della quotidianità, il secondo, più complesso, legato alla mia ricollocazione nella società.
Da quel momento quindi che tipo di percorso hai dovuto sostenere?
Durante il mio ricovero in ospedale, appena ci furono le condizioni per iniziare la riabilitazione psicofisica, ci attivammo col personale medico per affrontare questo lungo e tortuoso percorso così soggettivo e diverso da paziente a paziente.
Va detto che la vera riabilitazione, con la erre maiuscola, l’ho fatta quotidianamente una volta ritornato a vivere nel mio ambiente, al di fuori delle mura dell’ospedale o del centro riabilitativo, scontrandomi con le difficoltà e trovandomi delle alternative o delle opportunità. Si è trattato di mettere a frutto le nuove abilità raggiunte grazie al percorso riabilitativo tecnico per potenziarle, modificarle, al fine di tornare padrone della mia esistenza.
Come è cambiata la tua vita?
Avendo perso completamente l’autosufficienza sono tornato a vivere con i miei genitori, che, per mia fortuna, avevano ristrutturato il piano terra ed il garage di casa per far sì che potessi tornare ad abitare con loro. Ero rimasto senza lavoro, senza la patente ed un mezzo adeguato da guidare ma avevo ancora la ricchezza più grande dalla mia: la famiglia.
Qualche amico lentamente si allontanò, probabilmente per fuggire dalla mia situazione di dolore; è nella natura dell’essere umano allontanarsi da ciò che fa male o impaurisce (come una disabilità molto evidente), è un meccanismo di protezione e, per certi versi, comprensibile. A volte me lo chiedo: cosa avrei fatto io se un mio amico fosse finito in sedia a rotelle? Come avrei reagito?
Come succede spesso in queste situazioni, ci furono degli addii, il più difficile da superare fu sicuramente tra me e la fidanzata dell’epoca, nonostante avessimo attraversato insieme la tempesta perfetta che si era abbattuta sulle nostre vite. L’impatto di quegli eventi sulla nostra relazione fu devastante e certamente mancavano delle basi solide nella coppia in grado di reggere a quella forza d’urto.
Rimane il fatto che potei contare sulla mia perseveranza e sul supporto della famiglia, dei miei genitori, Silvano e Ivana, e di mia sorella Irene che tutt’ora sono i miei punti di riferimento. Sono stati fondamentali perché non mi hanno fatto mai mancare il loro amore incondizionato, dimostrandosi disposti a tutto pur di aiutarmi a tornare a vivere appieno.
Quali sono stati gli i momenti che hanno segnato questa nuova vita?
Insieme alla mia famiglia abbiamo vissuto le varie fasi di questa nuova condizione ed il ritorno alla normalità fatto di piccoli e grandi traguardi raggiunti: l’iscrizione all’Università ed il conseguimento di 2 lauree alla facoltà di Economia di Ancona, il conseguimento della patente speciale, la partecipazione a convegni regionali e nazionali in ambito sociosanitario, l’incontro col Presidente Mattarella al Quirinale; ma anche i momenti più dolorosi legati agli interventi chirurgici e ai ricoveri ospedalieri avvenuti negli anni successivi, alle problematiche dettate dalla lesione spinale, i ripetuti, quanto frustranti ,tira e molla con le autorità sanitarie per la prescrizione degli ausili necessari ed i momenti di solitudine forzata.
Che cosa e chi sono stati importanti in questo percorso?
Sicuramente i miei familiari che quotidianamente compensano i miei deficit: mi aiutano a vestirmi la mattina, nella preparazione dei pasti, per fare la doccia e ritirarmi a letto la sera. Sono fondamentali e mi garantiscono una buona qualità della vita.
Un’altra finalità importante della riabilitazione, in questi casi, è di riallacciare i fili col passato e creare un ponte tra la persona divenuta disabile, in carrozzina, e la persona di prima con il suo precedente stile di vita.
Questo percorso per me, come per tutti, è stato pieno di insidie, perché partendo dal “chi ero” e facendo i conti col “chi sono adesso” avrei dovuto individuare delle risposte sul “chi sarò”.
Quali erano le preoccupazioni più grandi che avevi?
Chi sarei potuto diventare? Cosa avrei potuto fare? Mi sono diplomato nel 2003 all’istituto alberghiero di Loreto e fin da subito, convinto dei miei mezzi e della scelta fatta, avevo intrapreso la carriera professionale nel settore della ristorazione come cuoco, con esperienze importanti in ristoranti ed alberghi della regione e con brevi esperienze all’estero.
Arrivato a 28 anni, dopo l’incidente, come sarei potuto tornare “operativo” non potendo più camminare né tantomeno utilizzare le mani? Come sarei potuto tornare a fare il cuoco avendo perso la manualità, un aspetto fondamentale per un cuoco? Quale ristoratore o albergatore mi avrebbe assunto di nuovo per ricoprire il ruolo di chef?
A dire il vero, inizialmente mi ero riavvicinato al mondo della ristorazione tramite le amicizie e gli ex colleghi ma con scarsi risultati: purtroppo non ci sono cucine adatte per uno chef in carrozzina, né tantomeno l’attrezzatura adeguata a lavorarci (è necessario costruirsela su misura o adattarne una già esistente).
Inoltre, tra le varie problematiche causate dalla lesione midollare ce n’è una che impedisce di gran lunga l’esposizione alle alte temperature delle cucine di alberghi e ristoranti: il controllo della termoregolazione alterata, che nel mio caso comporta una sudorazione quasi assente e di conseguenza una maggiore difficoltà per l’organismo a raffreddarsi abbinata a difficoltà respiratorie. Un problema non da poco per una qualsiasi persona che vuole lavorare in cucina.
Come sei venuto a conoscenza di Frolla?
Casualmente, sul finire dell’estate 2018, navigando su Facebook mi capitò di leggere alcuni post relativi a Frolla (che aveva inaugurato i suoi locali di San Paterniano solo qualche mese prima, a maggio) e decisi di scrivere a Jacopo su Messenger per saperne di più e poterci incontrare. Si dimostrò da subito molto disponibile e fissammo un appuntamento, al quale mi presentai col curriculum in mano e con fare molto professionale, ma in realtà quell’incontro divenne una chiacchierata informale tra due ragazzi con percorsi di vita differenti e al tempo stesso accomunati dall’entusiasmo e dalla voglia di fare.
Cosa ti ha fatto capire che Frolla poteva entrare a far parte della tua vita?
Quando per la prima volta sono entrato nel laboratorio per prendere le misure e capire come avrei potuto lavorarci, ho constatato che il tavolo per le lavorazioni era troppo alto e non sarei riuscito a lavorare per più di mezz’ora in quella posizione. La muscolatura delle spalle và preservata, specie per chi si muove in carrozzina. Senza troppi indugi Jacopo e Gianluca, aiutati nella realizzazione da un falegname di fiducia, in men che non si dica, mi fecero trovare una pedana in legno realizzata su misura.
Questo gesto è stato fondamentale per capire il valore delle persone con cui mi trovavo a lavorare, non hanno esitato per un solo minuto a trovare la soluzione al mio problema, soprattutto perché era talmente semplice, da non richiedere chissà quale sforzo. Eppure, per alcune persone con le quali mi ero confrontato in precedenza, questa soluzione non sembrava tanto banale da realizzare ed erano apparsi titubanti su un mio possibile reimpiego tra i fornelli.
Iniziò così la mia nuova avventura al microbiscottificio Frolla!
Come è proseguito il tuo impegno nella cooperativa?
Con l’avvicinarsi del Natale, aumentava la mole di lavoro, cosicché erano sempre più frequenti le giornate trascorse in laboratorio. In quel periodo, stavo frequentando il primo semestre del secondo anno del corso di Laurea magistrale in Economia e management ad Ancona, ma nonostante gli innumerevoli impegni, mi sentivo pieno di energie e di stimoli: ero ritornato a lavorare negli ambienti a me più cari, ero tornato a sporcarmi le mani con un’attività manuale che dopo l’incidente, mai avrei immaginato di riprendere! Con l’aiuto di alcuni ausili e con qualche astuzia del mestiere ero riuscito ed essere uno di loro, un creatore di biscotti.
D’altronde i biscotti grazie alla loro semplicità di realizzazione, hanno reso possibile il mio reinserimento: utilizzando degli stampini e la piccola attrezzatura a disposizione ero in grado di produrre e insacchettare le varie tipologie.
Che cosa ti ha spinto a diventare socio di Frolla?
Al ritorno dal riposo delle festività la cooperativa Frolla nacque formalmente con atto notarile, in un freddo pomeriggio di gennaio. Decisi di entrare a far parte della società, in qualità di socio, perché ho creduto fortemente nel progetto e nella visione globale degli startupper Jacopo e Gianluca e degli altri soci. In primis, mi sono sentito accolto come mai mi era capitato prima; il gruppo di lavoro, eterogeneo, faceva delle nostre diversità un punto di forza e da collante per lavorare uniti, un modo per riavere un’occupazione costante, con i nostri doveri e le nostre responsabilità, ma anche momenti più spensierati e conviviali.
Lavorare con gli altri, ognuno con le proprie difficoltà, ha fatto in modo che i limiti di ognuno fossero superati grazie alla collaborazione. Per me alcuni colleghi/e sono state le mie mani e le mie gambe guidati dalla mia testa, dai miei consigli frutto della mia esperienza pregressa.
Credo che queste attività abbiano aiutato sia me che gli altri, dei piccoli gesti che ci hanno fatto crescere umanamente e professionalmente.
Come il lavoro può diventare un elemento fondamentale della vita di ciascuno?
La parte rigeneratrice del lavoro è proprio quando crea una dipendenza “sana”, intesa come una spinta propositiva in grado di accendere la voglia di alzarsi la mattina per recarsi al lavoro e condividere il proprio tempo con i colleghi, creare i biscotti e gli altri prodotti da forno con le proprie mani, confrontarsi, prestando attenzione alle proprie azioni e agli altri.
È un tipo di percorso riabilitativo molto funzionale, basti pensare ai numerevoli benefici riconosciuti alla cooking therapy (cucinaterapia) per svariate patologie cliniche.
Come sei riuscito ad affrontare questa nuova condizione di vita?
Finalmente sono riuscito a fare ciò che mi è sempre piaciuto, ritornare in una cucina, o meglio, in un laboratorio di pasticceria, a fare un lavoro che mi gratifica e sono contento di farlo ad un ritmo sostenibile, senza competizione né affanni, con un gruppo di persone coeso e soddisfatto del proprio operato.
Questa nuova dimensione lavorativa mi ha dato più stabilità e sicurezza, è anche grazie a Frolla se sono riuscito a fare entrare l’energia in un volano virtuoso che poi trasmetto agli altri.
Certo, non ho dimenticato gli anni difficili, i mesi, le settimane di attesa e speranza.
Ricordo quando venivano a trovarmi parenti ed amici in ospedale: ero sdraiato, impotente, non riuscivo a muovermi, ero arrabbiato col mondo intero.
Loro, per tutta risposta, mi dicevano: “vedrai che passerà! Porta pazienza, tutto si sistemerà”.
Ma i miei sentimenti erano un mix d’impotenza, delusione e senso di sconfitta perché non è vero che tutto passa, o perlomeno non è stato così per me. Per riuscirci mi sono sforzato moltissimo, cercando di non cedere ai sentimenti negativi, convogliando le energie verso obiettivi e progetti raggiungibili con le capacità che mi erano rimaste e distogliendo l’attenzione da ciò che avevo perso.
Ora rivesto un ruolo più “manageriale”, collaboro allo sviluppo dei nuovi progetti, mi dedico alle attività relazionali partecipando ad incontri informativi rivolti ai vari stakeholder del territorio (scuole, associazioni di volontariato, aziende private, ecc.), ma appena ne ho modo, torno volentieri a fare i biscotti insieme ai colleghi!