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 In Interviste

Federico Morlacchi, vincitore di sette medaglie a cinque cerchi, tra cui un oro nei 200 misti a Rio 2016, oltre a svariati titoli mondiali ed europei, insieme a Beatrice Vio è stato il portabandiera della delegazione italiana alle ultime Paralimpiadi di Tokyo.

Federico è un leader e un vincente, in questa intervista ci racconta quali sono state le sue sensazioni durante l’evento ma anche le emozioni vissute ricevendo il tricolore dalle mani del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e ci apre la porta anche sulla sua vita privata.

Ciao Federico, grazie mille per la tua disponibilità e gentilezza mostrate accettando subito e senza indugi questa intervista. Ti chiederei subito di presentarti a tutta la Community di Frolla.

Chi è Federico Morlacchi?

Mi chiamo Federico Morlacchi, sono di Luino in provincia di Varese, ho quasi 28 anni, ho studiato per essere osteopata e nel tempo libero nuoto, anche se ormai il tempo libero mi occupa circa 6 ore al giorno.

Sono affetto da ipoplasia congenita al femore sinistro, significa solo che ho un femore più corto, l’osso della gamba in pratica non si è sviluppato bene. La passione del nuoto è nata quindi un po’ per necessità visto che i medici mi consigliarono di praticare nuoto fin da bambino, per permettere al corpo di crescere in modo uniforme.

Quindi la tua necessità e poi diventata passione e infine il tuo lavoro?

Esattamente, il nuoto rimane la mia più grande passione perché lo sport agonistico ti porta a dei livelli di sopportazione fisica e psicologica così alti che o ti piace o smetti.

Quindi prima di tutto per me è una grande passione, poi ovviamente sono arrivati i risultati ma quelli sono sempre stati una cosa in più, gareggerei anche fossi stato l’ultimo degli arrivati.

In estrema sintesi, il nuoto farà parte della mia vita per sempre.

Ho ascoltato il tuo discorso al Quirinale in veste di portabandiera per l’Italia e mi sono emozionata, qual era il tuo stato d’animo? Cosa significa per te essere il portabandiera?

Dire che ero un tantino emozionato è un eufemismo (NdR ridiamo insieme perché la risposta vera è un po’ più colorita).

Essere il portabandiera è sentirsi responsabile, significa essere un po’ il volto delle paraolimpiadi, significa informarsi, dare una parola di conforto prima della gara, congratularsi comunque vada alla fine. Le paraolimpiadi è un evento molto grande e il rischio è quello di venirne travolti e arrivare così alle gare già stanchi, ancor prima cioè di iniziare.

Ci tengo subito a precisare che spesso si associa il nuoto allo sport individuale per eccellenza, posso invece testimoniare che lo spirito del gruppo fa la differenza e questo si è visto proprio quest’anno alle paraolimpiadi.

Forse quest’ anno ci è mancata un pochino la magia del pubblico, quindi sfilare dentro uno stadio vuoto è stato di sicuro un’emozione grande ma mi ricordo nitidamente le 90mila persone dentro il Maracanà ed è tutta un’altra storia.

Però questi tempi richiedono decisioni difficili.

Immagino quindi che un po’ tutte le paraolimpiadi, così come le olimpiadi, siano state vissute come dentro una bolla, vero?

Io l’ho definita un’amichevole nel carcere, per la sicurezza infatti non c’è stato possibile fare neanche un passo in Giappone.

È stato comunque un grande segno di ripartenza, sono state fatte anche contro i pronostici degli esperti, quindi a testimonianza che quando l’essere umano si impegna riesce a fare anche cose grandiose.

Come definiresti la tua olimpiade? Sia professionalmente che umanamente.

Dal punto di vista sportivo, sarei un bugiardo se ti dicessi che non speravo in qualcosa di più, però anche questo fa parte della vita. Lo sport è una grande palestra di vita e quindi anche umanamente è stato un momento importante, gli anni meno belli capitano a tutti ma sono comunque molto soddisfatto della squadra in generale che ha un potenziale enorme e quest’anno lo hanno capito davvero tutti!

Ti dà fastidio se ti definiscono un esempio?

Dipende per cosa, se il mio esempio può servire a qualcun altro non mi offende assolutamente, anzi. Essere un buon esempio mi fa molto piacere e questo te ne accorgi soprattutto quando ti si avvicinano persone che non conosci e ti dicono: “io ho cominciato a nuotare per colpa tua” (NdR ridiamo insieme).

La sfortuna del mondo paraolimpico è che siamo esposti mediaticamente una volta ogni 4 anni e poi tutto e tutti rifiniscono nel dimenticatoio. Quindi spero che questa sia la volta buona, almeno per una equiparazione.

Ormai credo che i tempi siano abbastanza maturi, è stata e continua ad essere una lenta rivoluzione.

Quanto e perché è importante dare risalto alle paraolimpiadi (come fatto in piccola parte anche da Frolla)?

È anacronistico pensare che siamo atleti di serie B e, con un po’ di orgoglio, direi che si è visto. Siamo persone che hanno una disabilità, un’abilità diversa nel fare le cose e c’è un mondo che ci rappresenta (paraolimpiadi) e semplicemente noi ci sfidiamo lì.

Non è giusto che gareggiamo con gli olimpici per ovvie ragioni, ma c’è un mondo che è forse più grande dell’altro; basti pensare a tutta la macchina organizzativa dietro le paraolimpiadi, è mostruosa, è un vero casino, è quindi giusto che ci sia spazio, mi permetto di dire il dovuto e giusto spazio anche per questa realtà.

Ho visto che hai anche scritto un libro ‘Nato per l’acqua’, come è nata questa idea?

È un libro autobiografico, nato per gioco, ci siamo trovati con il mio professore di Italiano dell’epoca che si è appassionato un sacco alla mia vita e mi ha chiesto se c’era modo di metterla su carta.

Ho accettato volentieri ma la mia unica condizione è stata quella di devolvere la nostra parte dei proventi del libro alla mia società sportiva, per far sì che i ragazzi disabili delle scuole, durante le ore di educazione fisica, potessero andare in piscina.

È un progetto molto bello, grande e anche molto costoso e così nel mio piccolo volevo contribuire.

Quanto ti rappresenta la frase “i miei sogni sono le mie ali”?

(NdR ride subito) È mia! Ne rivendico il diritto di autore.

Sognare fa parte dell’essere umano, è la cosa che ci eleva un pochino dalla vita di tutti i giorni, dalla solita routine e monotonia.

Sognare ti eleva, poi è chiaro che da lì devono nascere delle cose concrete, però il sogno è la miccia che fa partire tutto.

Scusa, mi viene da ridere perché c’è la mia fidanzata che, mentre parlo con te, mangia l’uva e fa sì con la testa, approva e apprezza.

Cosa altro vorresti aggiungere per completare il tuo identikit?

La cosa più importante e bella da dire è che tra 5 mesi divento papà, del piccolo Tommaso.

Scusami ma lo dovevo dire, sono al settimo cielo!

Grazie infinite Federico, ti auguro ancora tanti altri successi in vasca (e fuori) e ti invito ufficialmente a venire a trovarci nelle Marche, anche per darci altri suggerimenti come portabandiera, visto che anche noi di Frolla dovremmo portare il tricolore nel Parlamento Europeo a novembre per la premiazione del Cittadino Europeo 2021 e abbiamo bisogno di tanti consigli ancora, soprattutto nel tenere a bada l’emozione.

I miei sogni sono le mie ali

(Federico Morlacchi) 

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