Time for change
In un mondo abituato ad avere tutto, subito e a prezzi ridicoli, Gaia Segattini risponde con la qualità.
Quello che altrove viene presentato come un valore aggiunto, per lei è il punto di partenza.
Nel 2018 fonda Knotwear, una linea di maglieria di altissima qualità con un’impronta green.
“Knotwear” è un gioco di parole in inglese tra “knot” nodo e “wear” indossare. La maglieria è infatti creata con filati annodati. Ma il nome crea curiosità perché suona come “not wear”, da non indossare.
Un’intervista da leggere tutta d’un fiato.
A chi vive le relazioni con rispetto e gentilezza perché solo insieme si può crescere.
A chi vuole dimostrare che è possibile fare impresa in maniera etica e sostenibile.
A chi sa che un sorriso e un saluto può cambiare la giornata.
Questa è Gaia Segattini e la storia del suo “Gaia Segattini, Knotwear”.
Il tuo modello imprenditoriale è assolutamente da raccontare perché non convenzionale e sostenibile, vorrei che iniziassi presentandoti, raccontaci di te. Qual è stato il percorso che ti ha portato ad essere quello che sei oggi?
Provo a raccontarti le principali tappe perché sono molto logorroica e faccio molta fatica a riassumere, però cercherò di farlo. Di formazione sono designer del mondo dell’abbigliamento, dove ho lavorato per circa 18 anni come consulente, principalmente come freelance per marchi di sportswear, streetwear e spesso marchi internazionali che avevano licenze per il mercato europeo.
Mi sono spesso confrontata con uffici stile di altri paesi e questo mi ha dato un’esperienza trasversale e mi ha permesso di conoscere persone di diversi luoghi, che avevano diverse necessità e con diversi immaginari.
In quegli anni ho lavorato principalmente al campionario e alla ricerca delle tendenze, l’ho fatto sempre con molto piacere e ho avuto sempre l’idea, che mi contraddistingue anche adesso, di quanto il prodotto sia assolutamente collegato alla comunicazione anche di sé. Allora non era così scontato, stiamo parlando della fine degli anni ‘90.
Ho lavorato anche nella comunicazione facendo styling dei cataloghi o cercando le persone che venivano fotografate, sono stati anni in cui ho viaggiato anche tantissimo dal Giappone a Seul, dall’India all’America.
La mia esperienza si può dividere in tre vite, diciamo, anche se non sono chiaramente divisioni nette e questa è stata la mia prima parte.
La seconda è cominciata a fine del 2008/2009 ed è durata per circa 10 anni.
È stata principalmente incentrata sul blogging e sulla divulgazione, avevo un blog chiamato “vendetta uncinetta”; come vedi l’ironia fa da sempre parte di me e soprattutto la voglia di far sorridere le persone e di far passare dei concetti importanti e seri (e anche rivoluzionari) attraverso un approccio molto leggero, giocoso e divertente.
Mi sono occupata di micro tendenze, quelli erano gli anni in cui cominciava a esserci anche Internet un po’ più strutturato e usato per proposte di prodotti diversi che soddisfavano nicchie e non soltanto il mainstream. Facendo questo tipo di ricerche sono approdata al mio grande amore, l’artigianato.
Era un periodo in cui ero un po’ delusa dal mondo della moda che era andato a produrre in toto all’estero e questo aveva allontanato chi faceva prodotti tessili; di fatto si facevano prodotti che erano assolutamente inutili e molto piatti, adatti a tutti e a nessuno.
Mi sono così trovata a conoscere tutto il mondo delle autoproduzioni, la rinascita dell’artigianato, come strumento assolutamente contemporaneo di sostenibilità economica e di raggiungimento di un pubblico diverso, con un significato profondamente politico, etico e artistico.
Era anche un modo per svecchiare un certo tipo di immaginario tradizionale dell’artigianato e proporre un modello di business sano, perché anche se in miniatura, permetteva (e permette tutt’ora!) un controllo della filiera totale.
Tutto ciò ha avuto veramente un impatto dirompente, seppur in piccolo.
Sono gli anni del portale Etsy, in cui tutti quelli che facevano questo tipo di piccole produzioni hanno dato un’opportunità diversa di fare produzione. Inoltre c’era una realtà concreta di sostenibilità economica perché chiaramente non è un caso che tutto nasce negli anni subito dopo la crisi del 2007, in cui molte persone si sono trovate senza lavoro o con in casa una persona che non aveva più lavoro, quindi c’era un forte bisogno che questa cosa portasse guadagno immediatamente.
Questa è stato una grossa fortuna perché ha dato molta concretezza al tutto, ha permesso a tutti di dedicarcisi enormemente, non come hobby o secondo lavoro.
Qui ho cominciato a raccontare (per prima probabilmente in Italia) questo tipo di di attività, intervistando un miliardo di piccoli artigiani inizialmente esteri, poi piano piano anche italiani.
La terza parte invece nasce quando appunto sono riuscita a mettere in pratica tutto questo confronto, pensiero, overthinking continuo e soprattutto questa rete. Mettere a frutto tutto ciò in un progetto concreto è stato importante, cioè quello che volevo fare era provare a cambiare un po’ le cose dall’interno, cambiare il modo in cui si fa manifattura in tanti piccoli dettagli microscopici, a volte anche invisibili a chi guarda dall’esterno.
L’occasione si è presentata quando ho parlato per la prima volta, anche se già lo conoscevo, con quello che poi sarebbe diventato il mio socio, nonchè titolare di questo magnifico meraviglioso che sta nell’entroterra di Senigallia, da lì poi è nato tutto ecco.
Mi è venuta in mente una cosa mentre parlavi Gaia: c’è stato un mai un momento in questa ultima fase, dove hai provare a cambiare le cose dall’interno, in cui hai pensato “beh forse sto sbagliando, hanno ragione loro, non sono sulla strada giusta” oppure hai avuto sempre risposte positive?
Per fortuna sempre la seconda. È un mondo talmente immobile e invisibile, specialmente al cliente finale, talmente dato per scontato che anche semplicemente farlo diventare visibile, dire ‘buongiorno a tutti’ ogni giorno, raccontare le persone dietro i prodotti, raccontare quello che si fa, pagare tutti massimo entro un mese, è una cosa rivoluzionaria.
Ormai manca il buon senso e nell’invisibilità è chiaramente più facile il sopruso, il ricatto, è più facile il dar per scontate le cose e quindi devo dire che questo mio impegno mi ha dato sempre risposte buone.
Non faccio cose con effetti ‘WOW’, perché stancano e poi perché non sono proprio quel tipo di persona. Anche se non sembrerebbe, sono una persona che non si metterebbe mai al centro di un palcoscenico, però ho il fuoco dentro, sono talmente convinta delle cose che vedo e penso che sono queste che mi portano avanti.
Ho provato a cambiare le dinamiche sulle tempistiche, sulla costruzione del prezzo, sul concetto di qualità reale e di vestibilità reale.
Ecco quindi in maniera proprio esplicita quali sono i valori che stai portando avanti nella tua azienda o comunque che vuoi cercare di condividere?
Allora guarda, noi li abbiamo riassunti molto bene nel cambiamento di statuto che abbiamo fatto ad aprile scorso, quando siamo diventati società benefit.
Essere società benefit infatti vuol dire infilare quelli che sono i tuoi valori nello statuto aziendale quindi agli obiettivi meramente economici, classici dello statuto tradizionale, ci sono quelli di impatto. Questa cosa non ti obbliga nessuno a farla ma al momento che viene messa nello statuto, quindi con la firma del notaio, questi obiettivi tu li devi rendicontare obbligatoriamente ogni anno.
Il nostro primo valore è l’utilizzo per la maggior parte possibile di filati di giacenza produttiva o rigenerati (nel 2021 eravamo all’80% ma sicuramente nel 2022 abbiamo migliorato), per la parte restante utilizziamo comunque filati di qualità italiana o biologici.
Il secondo valore è quello di sviluppare una filiera, il più corta possibile (in questo momento abbiamo una filiera di 70 km) e di supportare i piccolissimi produttori e subfornitori che spesso sono piccoli laboratori fatti anche da una persona sola.
È chiaro che se tu gli garantisci un lavoro continuo, seppur piccolo, contribuisci a far vivere queste realtà. Non stai a tirare troppo il prezzo, non li paghi chissà quando, ne supporti di fatto la sussistenza, anche questa sembra una cosa ovvia ma al momento non è assolutamente così.
Il terzo è proprio la la collaborazione con realtà di valori simili sul territorio, come nel caso di Frolla.
Il quarto infine è il fatto dell’avere le persone al centro, se metti una persona al centro (intendo sia i clienti finali che le persone che lavorano assieme), se tu vuoi bene a queste persone, non le sottopaghi, le saluti tutti i giorni, stai attento che non lavorino il sabato, ecc. di questi tempi stai facendo una rivoluzione.
Ecco questi sono i nostri valori principali, poi tutto il resto deriva da questo.
Visto che hai citato prima Frolla, ti chiederei come sei venuta a conoscenza di questa realtà e cos’è stato l’elemento che t’ha fatto pensare che con Frolla hai qualcosa in comune e che quindi potevi collaborare?
In realtà Frolla la conosco veramente da un sacco di tempo, penso da quando è nata.
L’ho conosciuta su Instagram (e già dice tutto, perchè siamo a 20Km di distanza, però spesso succede che realtà simili si incontrino sul digitale prima che sul territorio).
Forse c’eravamo anche scritti però poi sai quelle cose che rimangono un po’ sospese, fino a quando ho incontrato Jacopo all’Ikea casualmente.
Tra l’altro mi aspettavo una persona completamente diversa quando l’ho visto, cioè sinceramente ho visto un ragazzino, quella volta era proprio piccolo e poi da lì ci siamo visti diverse volte.
Mi ha chiesto un po’ di consigli in quanto eravamo nel periodo del lockdown, ci siamo confrontati sull’importanza dell’avere un ecommerce, che lui aveva messo in piedi praticamente da solo, sull’importanza di vendere direttamente al cliente finale piuttosto che ai negozi.
Quando poi Frolla ha fatto il primo crowdfunding, quello del furgone, (Frollabus NdR) io ero proprio felice di partecipare; è stata la prima volta in cui avevo dei soldi da poter donare che provenivano da un lavoro che avevo costruito io. Questa cosa è stata fortemente simbolica e mi ha veramente reso molto felice, il fatto di essere in grado finalmente di poter supportare sul serio dei progetti in cui credo.
Per me è stata una cosa meravigliosa!
Poi ho incontrato tutto il team Frolla altre volte e l’idea di fare delle cose insieme è nato un po’ alla volta, ci siamo trovati vicini come approccio digitale, umano e divertente.
Perché quando si parla di imprenditoria c’è sempre una tale seriosità, se parli di sostenibilità etica un’altra seriosità allucinante, che sembra di dover fare una lezioncina dall’alto, e invece noi siamo veramente tosti.
Io dico sempre che questa mia caratteristica mi ha fatto raggiungere di più le persone però nello stesso tempo è la cosa che mi ha fatto più di tutto passare inosservata al mondo ufficiale, ancora più dell’essere donna.
Forse le tre cose sono l’essere donna, l’aver cinquant’anni (perché se avevo 25 anni era un’altra storia) e il fatto di sorridere troppo.
Questa cosa spiazza perché poi venendo anche dal digitale sembra sempre che stia giocando, invece c’hai dietro delle bombe a mano di valori, di costruzione, di struttura.
Così anche questo approccio molto scanzonato mi ha unito tantissimo a Frolla e abbiamo cominciato a sentirci più volte a settimana (spesso in orari allucinanti tra l’altro), proprio per per confrontarci ,ci scambiamo dritte su bandi, concorsi, opportunità, eccetera
Ho una curiosità che riguarda un po’ il fatto che hai sempre fatto tantissime interviste, quindi mi chiedevo se c’è una domanda che non ti è mai stata fatta e che invece ti piacerebbe ricevere.
Oddio Elisa… non saprei.
Allora quando mi chiedono “come ti vedi in futuro?” mi traumatizzano sempre.
Perché questo è un tipo di lavoro, un po’ per come viene fatto da me, un po’ per il tempo in cui viviamo, in cui arrivare a domani è veramente difficile.
Passa sempre quella visione un po’ performante che devi essere ambizioso e competitivo che è una roba veramente irritante, perché spesso la ‘stronzaggine’ passa per competitività.
Non ti dico poi nel mondo della moda, dove l’ego è pompatissimo, se sei semplicemente una persona che è fiera del proprio lavoro e fai un buon lavoro tutti i giorni, cosa c’è di male?
Hai progetti imminenti, novità che puoi svelarci?
Ce ne sono un miliardo e mezzo, infatti ho la testa che mi fuma da due settimane.
Allora dunque non posso essere tanto specifica perché vorrei rivelare un po’ alla volta, però stiamo scrivendo un progetto molto bello per partecipare a un bando importantissimo che speriamo ci includa.
Poi la cosa che possiamo già cominciare a dire è che abbiamo finalmente la possibilità di avere uno spazio nostro, una casa.
Siamo ormai talmente cresciuti che ne avevamo bisogno, la difficoltà è stata trovare uno spazio diverso che fosse però vicino al maglificio, perché io senza manifattura accanto non sono nessuno.
Cioè se la mattina non non vedo tutti i ragazzi del maglificio non sto bene, gli voglio proprio bene, sono come una famiglia, mi viene da piangere mentre parlo, capisci.
Quindi non posso avere gli uffici a 100 km dalla produzione, quel modello lì mi fa orrore, che poi è anche causa della mancanza di comunicazione e di conseguenza della creazione di problemi e di sfruttamento. Quindi probabilmente qualcuno dall’alto ci ha guardando e ci ha fatto trovare questo spazio che è praticamente ad un metro dal maglificio, che prima non avevamo considerato perché era occupato ma ora si è liberato.
Sarà uno spazio in cui poter incontrare le persone e poi ci sarà il nostro magazzino finalmente, oltre ad uno spazio di vendita.
Uno spazio in cui poter organizzare dei piccoli talk, delle tavole rotonde, degli incontri sulle tematiche della manifattura, dei distretti prodottivi, della sostenibilità d’impresa e nello stesso tempo legarci più avanti a una scuola per alcune fasi della maglieria e creare un archivio d’impresa.
Le basi sono state messe e spero che quest’estate o in autunno riusciamo a partire, mi hanno già dato le chiavi quindi lo posso dire.
Io non so come ringraziarti Gaia!
Il mio prossimo obiettivo sarà venire a prendere uno dei tuoi maglioni perché ora ne sento più che mai l’esigenza.
Ti ringrazio anche per non avere mai detto “sono orgogliosa”, hai sempre detto “sono felice”, “sono onorata” e questo denota quanto tu sia priva di ego anche se questo non vuol dire che sei insicura, tutt’altro!
Grazie per questa importante testimonianza, grazie grazie grazie.
“Chi a cinquanta anni vede il mondo come lo vedeva quando ne aveva venti ha sprecato trenta anni della sua vita”. (Muhammad Alì)