Un arbitro marchigiano alle paraolimpiadi

 In Interviste

L’Italia continua a regalare grandi soddisfazioni alle Paralimpiadi di Tokyo 2021 e una di queste è sicuramente poter vantare di avere un arbitro italiano ai giochi, veramente l’unico che abbiamo, il marchigiano Maurizio Zamponi.

L’ho intervistato e mi ha raccontato la sua esperienza a Tokyo in questi giorni magici, la sua storia, la sua passione per il basket, la sua famiglia e tanto altro ancora.

Non ci resta che iniziare.

Ciao Maurizio, grazie per il tempo che mi stai dedicando e stai regalando a tutta la Community di Frolla. So che sei molto impegnato e anche per via del fuso orario non era semplice sentirci, ma nonostante tutto siamo qui al telefono per sapere qualcosa di più da te, da chi vive cioè in prima persona questa grandiosa manifestazione sportiva. Siamo molto curiosi di sapere.

Ma partiamo da te, raccontaci un po’ di te. Chi sei? E come è nata la passione per il basket in carrozzina?

Mi presento, sono Maurizio Zamponi, ho 43 anni e sono di Macerata. Faccio il consulente finanziario alle Poste e sono sempre stato nel mondo della pallacanestro, iniziando a giocare già all’età di 6 anni. Da adolescente ho iniziato ad arbitrare e piano piano ho smesso di giocare ma ho continuato ad arbitrare fino a che mi è stato proposto un corso come arbitro per basket in carrozzina, dall’unica società attiva in questa disciplina presente nella mia zona, il Santo Stefano.

Nel 2008 ho fatto il corso con loro e mi sono innamorato di questo mondo.

All’epoca arbitravo in serie C1 del basket in piedi, ma la curiosità mi spinse a fare questo tentativo e nel giro di un paio d’anni ho lasciato completamente il basket in piedi per quello in carrozzina.

In pratica è lo stesso sport del basket in piedi, solo con qualche accorgimento differente per cui il corso è stato molto breve e semplice, dopo di che è sul campo che ho fatto esperienza.

Nel 2010 ho iniziato ad arbitrare in serie A, nel 2012 ho fatto l’esame da arbitro internazionale, nel 2014 ho partecipato agli Europei under 22 a Saragozza (Spagna), nel 2015 agli Europei senior a Worcester (Inghilterra), nel 2016 sono arrivato alle Paraolimpiadi di Rio, nel 2017 ai Mondiali under 23 in Canada, nel 2019 ai Mondiali femminili in Thailandia e nel 2021 agli Europei under 22 a Lignano Sabbiadoro.

È stato tutto così talmente veloce che forse non ho neanche consapevolizzato d’aver fatto tutto questo in così poco tempo.

In realtà per me è una passione, noi arbitri infatti guadagniamo pochissimo (per darti un’idea in eventi come questo prendiamo circa 50 dollari al giorno), se lo confrontiamo con altri sport probabilmente questa cifra la percepisce un arbitro di calcio dei bambini.

Mia madre mi dice sempre che è un hobby poco costoso (NdR ridiamo insieme), ma sicuramente è ormai una cosa di cui non potrei fare più a meno.

Qual è la cosa che ti fa dire che ‘non ne puoi più fare a meno’?

Al di là dello sport (basket) di per se stesso, che secondo me è uno sport meraviglioso e che non ha nulla da invidiare a nessun altra disciplina, è un mondo in cui ho conosciuto tante belle persone, tante storie di vita meravigliose, è un mondo in cui sicuramente è molto di più quello che ho ricevuto rispetto a quello che ho dato.

Per cui togli il pietismo, perché qui proprio non esiste. Non sopporto quando la gente mi fa i complimenti per quello che faccio. In campo ci sono degli atleti e tutto quello che ci sta intorno è sensazionale.

È un po’ come nel rugby, cioè finita la partita siamo tutti amici, possono esistere rapporti umani anche tra giocatori ed arbitro, ci si confronta, in cui soprattutto di fronte ci sono persone che ti insegnano anche a vivere. Ragazzi che non hanno fatto della propria disabilità né un ostacolo né una scusa per essere arrabbiati con la vita o per non raggiungere certi risultati.

Ti rendi conto che vale la pena vivere in un certo modo e smettere di lamentarsi, guardando alle cose belle, che ognuno comunque ha.

In questo modo si annulla completamente il discorso della disabilità, hai a che fare con un essere umano, con un lavoratore (nel caso di Frolla) e con un atleta (nel mio caso), infatti la disabilità me la perdo per strada: io sono l’arbitro e lui l’atleta, punto.

Riesci a vedere altre gare olimpioniche a Tokyo?

Purtroppo no, perché viviamo blindati e dovremo fare la quarantena di 14 giorni se volessimo uscire quindi è una cosa praticamente impossibile, anche se mi sarebbe piaciuto davvero tanto.

In compenso mi sono improvvisato esperto e ho attivato una serie di connessioni per poter vedere tutte le gare e tifare i connazionali in diretta.

Quali sono i prossimi impegni alle Olimpiadi?

Ora ci sono i quarti di finale e dobbiamo capire chi va avanti anche tra gli arbitri perché anche noi siamo valutati, cioè non portiamo medaglie e non rappresentiamo ufficialmente l’Italia però siamo valutati a tutti gli effetti gara per gara e, da un certo punto in poi, arbitra solo chi rientra tra i migliori.

Ognuno punta al massimo, quindi ovviamente non ti nego che spero nella semifinale o finale.

Le cose stanno andando bene, quindi incrociamo le dita.

Hai famiglia? Hai lasciato a casa un pezzetto di te?

Sì ho una compagna e due figli. Anche lei ha abbracciato questa mia passione, perché poi è lei che deve restare a casa coi bambini quando io sono in trasferta.

Ogni volta che devo partire c’è sempre un po’ di dualismo perché lascio qualcosa di bello e grande per andare a fare qualcosa di altrettanto grande.

Cosa ti piacerebbe che passasse da questa intervista?

Che la disabilità sta solo negli occhi di chi ce la vuole vedere. Secondo me, questo è bello che passi, al di là del discorso sportivo.

In tutte le interviste di atleti paraolimpici che ho ascoltato in questi giorni, ho sempre trovato messaggi positivi, intensi, pregni di significato insomma.

A me personalmente ha colpito questo, non so se non ci avevo semplicemente fatto caso prima.

Mi piacerebbe che si smettesse di vedere la disabilità come una mancanza. Ognuno di noi è unico e ha delle abilità in qualcosa. Se non lo tocchi con mano non lo riesci a capire, bisogna accorciare le distanze e così tutti ne favorirebbero, ma so che voi di Frolla vivete questo tutti i giorni e mi potete comprendere.

Grazie di cuore Maurizio, noi continueremo a fare il tifo anche per te a distanza ma ti aspettiamo per una colazione da Frolla, non appena rientri in Italia!

La pallacanestro è più di un gioco, è condivisione.

(Phil Jackson)

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